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C’è chi dice no – Lapadula e i suoi fratelli

C’è chi dice no
Il Napoli incassa tanti, troppi rifiuti. Perché tanti no? Cerchiamo di analizzare i motivi di questi dinieghi

Pescara - Virtus LancianoNapoli, in principio era il verbo. Declinare, rigettare, rinunciare, rifiutare categoricamente. Talvolta con convinzione, spesso con un semplice vorrei ma non posso, non me la sento. Klaassen, Zielinski, Vrsaljko e il perplesso Lapadula sono solo gli ultimi di una stirpe riluttante. Originariamente fu il “fenomeno” Rolando Bianchi, bomber bergamasco in rampa di lancio dopo le stagioni esaltanti con la casacca della (fu) Reggina nella calda estate del 2007; il suo fu un tentennamento – probabilmente – anche giustificato, in quanto il novello Napoli degli sbarbatelli Lavezzi, Hamsik e Gargano non convinse l’attaccante, promesso sposo (con divorzio breve e negoziazione assistita alla Lazio) del più accreditato Manchester City di Sven Goran Eriksson. Se ne pentì qualche tempo dopo, ma il buon Rolando, dopo il breve soggiorno inglese, rimediò quasi 3 milioni di diritti d’immagine. Toccò poi ad un altro attaccante dal prospetto importante: l’italo-polacco Robert Acquafresca; dopo una titubanza bimestrale, il ragazzo preferì il mare di Sardegna e la garanzia di un posto da titolare nell’attacco del Cagliari. Per non parlare dei mancati profeti in patria Fabio Cannavaro, Totò Di Natale, Antonio Nocerino e Mimmo Criscito: un coro unanime di “sarebbe un sogno la maglia azzurra, ma non ci sono le condizioni”. Leggende metropolitane hanno raccontato di motivi familiari. I diretti interessati non persero tempo: smentirono in maniera perentoria. E allora quali erano queste condizioni? Pian pianino ci arriviamo.
Ora è giusto fare uno sprint lungo un lustro, sino alla gestione dall’appeal estremamente magnetico di Rafa Benitez: a Napoli urge un nome blasonato che sappia sostituire degnamente il partente Edinson Cavani. Le trattative sono lunghe ed estenuanti, i rifiuti che seguirono sono stati rospi troppo grossi da digerire per i tifosi partenopei, delusi da una gestione societaria troppo parsimoniosa e da un atteggiamento troppo restio di questi giocatori; per questo, presero molto a cuore i destini di quei “traditori”, in perfetto ossequio alla Legge di Murphy (se qualcosa può andar male, lo farà, ndr): Mario Gomez preferì la rinascimentale Firenze al sole di Napoli. Il panzer tedesco, tra infortuni e topiche colossali, ripudiò il capoluogo toscano definendola “un’esperienza da dimenticare”; Leandro Damiao, l’erede – secondo gli addetti ai lavori dell’epoca – del Fenomeno Ronaldo, si eclissò come una supernova. Edin Dzeko sappiamo come s’è disimpegnato quest’anno a Roma. L’amletico Julio Cesar non trovò l’accordo con gli azzurri dopo un corteggiamento lungo un mese. Col senno del poi nessun rimpianto; a Napoli sono arrivati Mertens, Callejon, Reina, Albiol e il signor Gonzalo Higuain. Risultato: terzo gradino del podio, Tim Cup in bacheca e un entusiasmo alle stelle per quella che doveva essere la stagione della consacrazione. Ma sarà un’eccitazione effimera: il canto ammaliatore di Benitez non funzionò più, la società di Aurelio De Laurentiis subì quattro secchi no: Mascherano, Fellaini, Gonalons e Kramer preferirono non lasciare il loro club d’appartenenza, il loro “progetto di vita”. Chissà che progetto poi.
Vogliamo ricordare la perturbante trattativa Astori nella sessione estiva scorsa? O quella Soriano a gennaio? Meglio di no.
Klaassen, Zielinski, Vrsaljko, Lapadula, ai quali aggiungiamo il messicano Hector Herrera – che sembra affascinato dall’ipotesi azzurra; bisogna solo trovare l’accordo col Porto – e Koulibaly (coi suoi mal di pancia) farebbero comodo alla causa napoletana, ma i loro destini sono tutti affini: saranno lontani dal club di De Laurentiis. Tant’è. Aurelione, che dovrebbe meglio spiegare i pregi di una politica finanziaria accorta, paga quindi il prezzo della sua palese contraddizione. Appare come un pifferaio magico, è ispirato invece da due sole muse: parsimonia e affari. Pare un folle capriccio strappare ai giocatori i diritti d’immagine, ma un motivo c’è. E lo sa soltanto lui…

Foto: LaPresse, Fabio Urbini