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Duecentocinquanta trapianti di rene: a Napoli un’eccellenza nella chirurgia europea. Il dottor D’Alessandro: “Con le donazioni risultati ancora migliori, non più la maglia nera alla Campania”

dalessandroSomma Vesuviana (Na). Una vita per la chirurgia, da professionista specializzato nel trapianto di rene in una regione come la Campania che non solo non è più ‘maglia nera’ nel settore ma che può essere presa come modello di efficienza e all’avanguardia con le nuove tecniche di intervento. Il dottor Vincenzo D’Alessandro, primario del Centro Interdipartimentale Trapianti di Rene dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II di Napoli, ne ha eseguiti 250 di trapianti e in quest’intervista ci racconta – a pochi giorni dal suo sessantesimo compleanno – le tappe che hanno portato a questo importante traguardo nel campo della medicina nella nostra città.

Dottor D’Alessandro, per Napoli e la Campania si tratta di un risultato straordinario quello raggiunto con i duecentocinquanta trapianti di rene…

Assolutamente. Se consideriamo da dove siamo partiti si. Il primo trapianto a Napoli è stato eseguito nel 1977, da allora è stato un continuo crescendo di buoni risultati che ha portato la Campania a non essere più la ‘maglia nera’ nel settore. E’ stata fatta tanta strada, con impegno e professionalità i risultati sono stati assolutamente soddisfacenti.

Come si è arrivati a questo prestigioso traguardo?

Tutto parte dalla mia specializzazione, quando mi sono laureato, nel 1981. La chirurgia è stata sempre il mio pallino. Sono entrato in una scuola molto importante, quella napoletana il cui capostipite è stato il professor Zannini, un grande chirurgo che tutti quanti conoscono. Ma il mio maestro è stato un allievo di Zannini, il professor Mario Luigi Santangelo, il quale ha ricoperto anche cariche politiche importanti nell’ambito politico regionale. Santangelo è stato non solo il mio maestro ma quello che in definitiva ha portato i trapianti a Napoli. Il primo trapianto che si è fatto nel meridione è del 1977, siamo alla soglia del quarantennale. Per quel che riguarda la mia carriera, dopo essere entrato nella scuola chirurgica napoletana mi sono specializzato e ho continuato nell’ambito dell’università. Successivamente ho vinto un concorso in ospedale per poi tornare al Policlinico perché – insieme ad altri colleghi – sono stato richiamato per le competenze acquisite, per l’alta informazione sui trapianti maturata nella prima parte del lavoro al Policlinico. Ho lavorato per qualche anno all’ospedale ad Ischia dove facevo il chirurgo, poi il ritorno dei ‘cervelli’ all’attività che ci ha regalato negli anni successi e gratificazioni.

Quando si è reso conto che avrebbe fatto il chirurgo nella vita?

Ho capito da sempre di avere la passione per fare il chirurgo, anche per il fascino della professione. Di solito viene visto come il medico che ha la parola finale quando viene consultato. Con grande soddisfazione posso dire di essere riuscito ad ottenere questo traguardo pur non avendo genitori che fossero medici, questo nel percorso lavorativo non ti velocizza le tappe, ma al raggiungimento del traguardo la soddisfazione è ancora maggiore. Per quel che mi riguarda credo di aver avuto la fortuna e la capacità di trovarmi in una scuola importante, oggi posso dire con orgoglio di ricoprire un ruolo importante da dirigente. Faccio trapianti ma non solo, mi occupo anche di chirurgia in generale. Nel percorso lavorativo ho voluto misurarmi prima con me stesso e poi con gli altri, oggi mi posso ritenere soddisfatto di quello che ho fatto. L’obiettivo è cercare di fare sempre meglio e scoprire tecniche nuove e all’avanguardia. Oggigiorno si vive a ritmi vertiginosi e tutto cambia in poco e radicalmente, c’è la velocizzazione di ogni cosa, e soprattutto noi medici dobbiamo essere al passo coi tempi.

I primi anni sono stati quelli di ‘scuola’, quelli che hanno permesso di gettare le basi per i buoni risultati di oggi…

Si, come spesso accade in tutte le discipline scientifiche il successo è stato costante e graduale. Il primo trapianto di 39 anni fa, era il 4 aprile del 1977, ci ha permesso di prendere coscienza delle nostre potenzialità. Nella nostra struttura sono stati eseguiti 750 trapianti, di questi ben 250 sono quelli che ho fatto io. In questo percorso si sono alternati tanti maestri e professori di chirurgia, non solo Sant’Angelo ma anche Di Salvo, Renda, e altri colleghi che hanno imparato le tecniche d’intervento. Un dato è assolutamente rilevante: dal 1977 fino al 2002-2003 i dati erano nettamente inferiori a quelli attuali, perché all’inizio i trapianti non venivano fatti con una frequenza come quella attuale, e questo non perché eravamo arenati ma perché non c’era l’organizzazione che invece c’è oggi. Solo nel 1999 con l’istituzione di alcuni organismi – la legge Bindi sui trapianti e l’Alto comitato della Regione Campania con Bassolino presidente – si è stimolata molto la donazione degli organi e questo ha potuto fare si che ci potessero essere più trapianti nella nostra regione. L’organizzazione ha portato a questa campagna di sensibilizzazione.

Quale la svolta per il definitivo successo? 

A distanza di anni possiamo parlare di una realtà abbastanza collaudata nella nostra regione con centri molto avviati, il nostro centro al Policlinico fa trapianti di rene anche se abbiamo fatto anche trapianti di fegato che adesso fa l’ospedale Cardarelli. Il centro di trapianti di cuore sta al Monaldi, in Campania c’è un secondo centro, istituito nel 2006 – quindi dieci anni fa – per i trapianti di rene che si trova all’ospedale Ruggi di Aragona a Salerno. Poi ci sono i trapianti di cornea – che non è un organo quindi in questo caso si dovrebbe parlare non di trapianto ma di innesto – che vengono fatto ai Pellegrini Vecchi. Nella nostra azienda universitaria alla Federico II si fanno anche dei trapianti di midollo – anche in questo caso definiti innesti – che vengono portati avanti dagli ematologi. Se vogliamo parlare di svolta si deve far riferimento all’organizzazione e all’opera di sensibilizzazione nelle donazioni. La svolta? La materia prima per i trapianti sono gli organi, se non ci sono gli organi non si possono fare trapianti. Come si procacciano gli organi? O da donazioni da viventi, o da cadaveri.

Quindi bisognerebbe insistere con le donazioni?

Si, ma questa cultura qua in Italia non è molto presente. Infatti bisogna considerare che non si fanno da 7 8 anni, li vogliamo iniziare  ma purtroppo c’è grossa difficoltà. Per questo motivo gli organi si prendono dai cadaveri, da persone con morte celebrale. Questo il nostro obiettivo: si devono sensibilizzare e stimolare le rianimazioni degli ospedali perché in questo modo si possono ottenere gli organi.

Il progresso e le nuove tecniche vi hanno aiutato…

In questo periodo siamo cresciuti molto a Napoli, noi facciamo delle cose oggi che manco avremmo pensato di fare dieci – quindici anni fa. Oggi facciamo anche trapianti a persone molto anziane mentre prima questo non accadeva. I donatori sono pochi ma il bacino del donatore si è allargato. Nel senso che non si tratta più solo di donatori trentenni o quarantenni, la soglia si è allargata così oggi ci sono anche donatori di cinquanta o sessant’anni, ma anche di settanta e ottant’anni. L’operazione è sempre delicata soprattutto nel caso dei reni che sono organi particolari perché servono a filtrare l’urina. A quel punto si prendono – con la tecnica old for old – organi da persone anziane da trapiantare in anziani. Nel maggio del 2009 facemmo con l’equipe il primo doppio trapianto a Napoli, operazione mai fatta prima. Un’altro grande risultato è stato quello del doppio trapianto che abbiamo eseguito nel 2014: prima c’era solo la possibilità di inserire un rene a destra e uno a sinistra, adesso con una nuova tecnica si possono inserire entrambi i reni nello stesso lato vascolare per evitare maggiori complicanze.

La Campania era molto indietro anche per quel che concerne le donazioni…

La Campania era la maglia nera dell’Italia anche per quanto riguarda le donazioni. Non è che adesso siamo bene, ai primi posti ci sono le regioni del nord e del centro, in particolar modo la Toscana e l’Umbria. La cosa vergognosa è che negli anni scorsi, prima degli anni della svolta, diciamo verso la fine degli anni 80’ e inizi 90’, in tanti erano costretti ad andare all’estero per avere trapianti. Adesso con le leggi che sono state promulgate i trapianti si devono fare non solo in Italia ma anche nelle regione di residenza. Si tratta di una svolta per il meridione, il nostro centro è di eccellenza anche a livello europeo soprattutto per i buoni risultati raggiunti. Questo significa che se le cose si vogliono fare e c’è l’organizzazione necessaria i traguardi prestigiosi si possono ottenere anche al Sud.

Quale obiettivo si propone di raggiungere dopo quarant’anni di attività?

Il nostro obiettivo è quello di aumentare i trapianti da viventi, così come avviene negli Usa dove si fanno trapianti da viventi e da cadaveri con la stessa frequenza. Nessuna manovra chirurgica è scevra da complicanza e mortalità, togliere un organo da una persona è un atto chirurgico che ti deve far tremare i polsi. L’obiettivo dell’Alto Comitato è quello di sensibilizzare le donazioni, si deve partire dalle piazze alle scuole alle Asl. Deve passare il messaggio che si devono donare gli organi, donare gli organi significa dare la vita a delle altre persone. In Campania adesso siamo pronti a continuare su questi ritmi e crescere ancora. Le equipe ci sono, c’è la professionalità, c’è solo bisogno della materia prima.

In 250 trapianti ne ricorda qualcuno in particolare?

Tutti i trapianti mi hanno dato grandi soddisfazioni ma devo dire che il primo trapianto è stato per me come il primo amore, che non si scorda. Era la notte del millennio, nel 2000: è stato il mio primo trapianto completo che non dimenticherò mai.