I napoletani sono davvero scaramantici? Da sempre esiste questa convinzione nel resto d’Italia e nel mondo, ma quanto c’è di vero in questa cosa? Tanti sono i motivi che potrebbero portare a confermare questo fenomeno, che trova oggi conferme e smentite. Due gli esempi recenti e palesi che suffragano o negano questa credenza.
Il primo esempio è quello del recente Miracolo di san Gennaro, che anche sabato 6 maggio ha catturato le attenzioni non solo dei napoletani ma anche dei turisti di tutto il mondo. Tra sacro e profano, questa tradizione va avanti da secoli. Il secondo dato rappresenta invece il contrario. E parliamo dello scudetto del Napoli, evento atteso da 33 anni in città.
Ebbene, i napoletani, in barba ad ogni tipo di scaramanzia, già mesi prima della matematica arrivata il 4 maggio hanno cominciato a festeggiare questa vittoria, tappezzando la città di azzurro. Due situazioni che portano a riflettere e a pensare che il dato scaramantico in città è presente ma non come in passato.
Cosa si intende per scaramanzia: storia ed origine
Il termine “scaramanzia” si riferisce alla credenza popolare in alcuni tipi di magia o superstizione, che si manifesta nella convinzione che alcuni oggetti, gesti o parole possano influenzare il destino in modo negativo o positivo. A lungo presente nella cultura italiana, le sue origini risalgono all’antichità classica, quando venivano praticati riti e cerimonie per propiziare gli dei e per evitare il malocchio.
Con l’avvento del Cristianesimo, molte di queste credenze pagane sono state incorporate nella religione cristiana, dando vita a pratiche come l’uso degli amuleti e delle medaglie protettive. A Napoli, questa tradizione si è sviluppata in modo particolare, dando vita a una serie di gesti e parole che vengono utilizzati per proteggersi dalle influenze negative e per attirare la fortuna.
Scaramanzia a Napoli: gli esempi più famosi
Ad esempio, molti napoletani credono che toccare ferro o sputare tre volte possa allontanare la sfortuna. Mentre portare con sé un corno rosso (chiamato anche “corno portafortuna”) possa proteggere dalla malasorte. Altri ancora credono che incrociare le dita o toccare un pupazzetto di plastica a forma di pollice possa portare fortuna.
Ci sono anche alcuni numeri considerati fortunati o sfortunati a Napoli: ad esempio, il numero 17 viene considerato sfortunato perché la sua pronuncia in dialetto napoletano (“diciassette”) suona come “mal morto”, ovvero “cattiva morte”. Al contrario, il numero 13 viene considerato fortunato perché rappresenta il “Giglio di San Antonio”, una pianta che simboleggia la rinascita e la fertilità.
Inoltre, a Napoli ci sono molti gesti che vengono utilizzati per scongiurare la sfortuna o per evitare di provocarla involontariamente. Ad esempio, quando si parla di una persona deceduta, si dice “rip” o “ripommo”, ovvero “riposi in pace”, per evitare di attirare la sfortuna.
Allo stesso modo, quando si parla di qualcosa di brutto o sgradevole, si dice “facciamo scignere” o “facciamo mala figura”, per evitare di attirare il malocchio.