La Pellecchiella è una delle varietà più pregiate tra le 100 diverse tipologie di albicocche del Vesuvio, coltivate all’interno dell’area del Parco Nazionale del Vesuvio.
Conosciuta dai napoletani come “crisommola” (dal greco chrisomela, ovvero mela d’oro, per la sua forma oblunga che ricorda una piccola mela), si distingue per la sua pelle vellutata facilmente separabile dalla polpa compatta e gustosa, da cui deriva il nome “pellecchiella“.
Ha un colore tendente al giallo, a differenza delle altre varietà vesuviane che sono più rosse, e si caratterizza per le sue dimensioni molto grandi.
La maturazione avviene nel periodo medio-precoce, consentendo la raccolta già a partire dalla metà di giugno. Oltre al consumo diretto è molto richiesta anche dall’industria alimentare per la produzione di confetture, succhi, nettari, sciroppi e canditi.
La Pellecchiella del Vesuvio: origini e denominazione. Di cosa si parla
Le origini della Pellecchiella del Vesuvio risalgono alla Cina sud-occidentale, da dove si diffuse in Asia Centrale e fu conosciuta anche da Alessandro Magno. Furono poi gli arabi a diffonderla nel Mediterraneo, fino a quando arrivò in Italia intorno al 70 a.C. grazie ai Romani.
Tuttavia, le prime testimonianze certe della sua coltivazione alle pendici del Vesuvio risalgono al I secolo d.C., come documentato negli scritti di Plinio il Vecchio.
Nel 1583, Gian Battista Della Porta, uno scienziato napoletano, descrisse nell’opera “Suae Villae Pomarium” due tipi di albicocche: le Bericocche, di forma tondeggiante con polpa morbida, bianca e aderente al nocciolo, e le Chrisomele, con polpa non aderente al nocciolo, molto colorate e più pregiate.
La produzione delle Crisommole ancora oggi è predominante nell’area vesuviana, grazie al terreno sabbioso vulcanico ricco di minerali e potassio che favorisce questa coltura, conferendo ai frutti un sapore unico e caratteristico.
La denominazione non è altro che rappresentata dall'”Albicocca Vesuviana” che comprende circa 100 antiche varietà autoctone, di cui solo una quindicina di esse vengono coltivate dai contadini all’interno del Parco Nazionale del Vesuvio.