Un istante dopo aver oltrepassato la soglia di questo luogo, ci si lascia subito catturare dall’aroma della pizza a portafoglio e dei vecchi libri esposti sulle sue bancarelle. Quando si parla di Port’Alba, si fa riferimento a una zona del centro antico di Napoli che rappresenta una parte storica della città. Ma chi conosce la storia dietro il nome che porta?
L’origine di questo toponimo si deve a Don Antonio Álvarez de Toledo, Duca d’Alba e discendente del viceré Don Pedro de Toledo, che ne ordinò la costruzione nel 1625 in sostituzione di un’apertura improvvisata. L’obiettivo era facilitare il passaggio da un lato all’altro delle antiche mura angioine, situandola sul lato sinistro di Piazza Dante.
In origine, prima che venisse eretta la Porta, si trovava una vecchia torre di guardia. Si narra che gli abitanti della zona, stanchi di dover allungare il tragitto per entrare ed uscire, iniziarono a scavare di nascosto alla base della torre, creando un pertuso, ossia un buco per agevolare il passaggio.
Port’Alba, dalle radici ai giorni nostri: il leggendario racconto di una storia romantica
L’ideazione della storica Port’Alba in quel di Napoli ha radici piuttosto profonde. Tutto ebbe inizio da un semplice buco, all’interno del quale autorità e addetti operavano regolarmente per tapparlo, ma ogni volta qualcuno tornava a scavare.
Così, stanchi delle continue intrusioni nella cinta muraria, il principe don Paolo di Sangro di San Severo supplicò il viceré di erigere una porta presso il largo Mercatello (l’attuale piazza Dante).Così, nel 1624, il Duca d’Alba, optò per la demolizione della torre e alla costruzione ex novo di un piccolo cunicolo, successivamente sostituito dalla porta che prese il suo nome.
All’indomani di questa affascinante decisione si è soliti narrare la storia di Maria La Rossa, leggenda romantica e tragica al tempo stesso. Si racconta infatti che la giovane donna, con una folta chioma rossa come il fuoco, conosciuta come “Maria ‘a rossa“, vivesse in una casetta all’interno delle mura di Port’Alba. Maria amava, ricambiata, Michele, un conciatore di pelli che però viveva al di fuori delle mura. Di conseguenza, i due innamorati non si erano mai potuti abbracciare. L’apertura della porta rappresentò la realizzazione del loro amore.
La svolta però si ebbe durante una tranquilla serata, mentre la coppia rientrava sottobraccio, all’altezza di una piccola fontana all’angolo della piazza. I due consorti udirono un frastuono roboante e qualcosa impedì al ragazzo di proseguire, immobilizzandolo a quattro passi da casa.
Maria riuscì a superare l’ostacolo a differenza di Michele. La donna cercò invano di trascinare il suo uomo, completamente pietrificato, e quando decise di “mollare gli ormeggi”, Michele vi rimase lì terrorizzato, allontanandosi per sempre da lei. Da quel momento in poi, la donna iniziò lentamente a trascurarsi. Gli amici la evitarono e la gente cominciò a temerla: la donna fu considerata da tutti una strega, la cosiddetta “Strega di Port’Alba”.
Il suo destino come d’altronde accade agli antagonisti delle storie, tra cui figurano anche le streghe non fu certo piacevole: fu rinchiusa in una gabbia appesa a un gancio proprio sotto l’arco della Porta, lasciata morire di fame e sete. Il cadavere di Maria rimase in quella posizione per diverse settimane. E nel mentre ci si apprestava alle fasi di decomposizione della salma iniziò un misterioso processo di pietrificazione del corpo.
Oggi rimane solo l’incavo nella pietra e un’ombra che, secondo le voci, ancora si aggira di notte tra librerie e botteghe.