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La rincorsa Champions finisce sul nascere: il “napoletano” Cheddira è una sentenza

Napoli-Frosinone non è solo una partita che a Calzona può servire per accumulare punti Champions, ma anche per riscattare la clamorosa sconfitta degli azzurri in Coppa Italia proprio contro la squadra di Di Francesco: è vero che sulla panchina del club di De Laurentiis c’era Mazzarri ma quella resta una delle macchie più brutte della stagione per i padroni di casa che stanno cercando di risalire in zona europea.

Una settimana fa, al fu Brianteo di Monza, il Napoli ha tirato fuori orgoglio e artigli nel momento più difficile. Sotto di un gol nel primo tempo, gli azzurri non si sono dati per vinti, hanno reagito e, nella ripresa, hanno segnato tre gol nel giro di soli sei minuti, facendo per un attimo rivedere il bellissimo calcio che lo scorso anno li ha portati a vincere il terzo scudetto della loro storia.

Primo tempo

Il Napoli deve trovare le motivazioni per queste ultime partite. Che non sono poche. Dover frequentare l’immaginario dell’amarezza due mesi prima della fine del campionato, oltre che molto in anticipo sulla fine della stagione, non era nelle previsioni, ma resta la realtà che non sorride e rimanda soltanto alle speranze future. Un futuro che al momento si annuncia per voci e suggestioni. Ma nulla di più.

Napoli che merita indubbiamente questo vantaggio, stanti le (almeno) cinque nitide occasioni da gol create. Decisivo il capolavoro di Politano al 16′, ma anche l’intervento con cui Meret ha parato il rigore di Soulé al 30′. Frosinone di certo non rinunciatario ma che ha concesso davvero tanto in difesa e non capitalizzato l’unica disattenzione degli avversari.

Secondo tempo

Turati salva più volte e al 50′ Cheddira approfitta di un disimpegno sbagliato di Meret e pareggia (50′). Padroni di casa ancora avanti con la zampata di Osimhen (63′) e definitivo 2-2 sempre di Cheddira con un colpo di testa (73′). Allo scadere espulso Mario Rui.
Un pareggio che è d’oro per il Frosinone nella corsa salvezza, mentre rappresenta l’ennesimo passo falso di un Napoli ormai fuori dalla corsa Champions e, forse, anche da quella per l’Europa.

Ciò che interessa di questa scansione temporale è un fattore soltanto: l’accettazione totale da parte del Napoli della sua nuova dimensione di “predatore”. Alle critiche dei post-partita più scomodi, essenzialmente riferite ad una squadra che produceva gioco come e più di prima ma senza concretizzarlo, Calzona ha sempre risposto più o meno con le stesse parole. E con i numeri, ovviamente: a chi gli faceva notare che la squadra era più lenta spiegava che i test atletici della settimana suggerivano l’opposto, a chi lo accusava di spingere allo stakanovismo estremo giocatori “con la testa altrove”, ha glissato.

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Mai con le spalle al muro. Calzona è un dogmatico, un lavoratore troppo appassionato per dare voce in capitolo nel suo mestiere ad altri al di fuori di sé. Un sarrista, per dirla breve. È uno che non cambia idea, o meglio, che non cambia idea in pubblico. Che se sceglie di adottare un accorgimento lo fa notare il meno possibile. E, che lo si voglia apprezzare o meno, in questo aspetto ha preso tutto da colui che lo osserva dalla tribuna del Tempio di Fuorigrotta.