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Perché la lingua napoletana ha condizionato tutto il Sud: la storia

La lingua napoletana, dalle radici antiche che affondano nell’epoca medievale, trae le sue origini dai dialetti italo-meridionali noti come volgare pugliese. Questa denominazione deriva dal ducato di Puglia e Calabria, un territorio vasto che comprendeva parti significative dell’Italia meridionale, con Salerno come fulcro principale, definita la “capitale della Puglia” all’interno del regno di Sicilia.

Tuttavia, a partire dal XIII secolo, Napoli emerse come il motore trainante dell’Italia meridionale, essendo la capitale del Regno di Napoli per oltre cinquecento anni fino al XIX secolo. L’influenza della variante partenopea all’interno dell’area del volgare pugliese divenne sempre più predominante, dando origine a una forma antica del dialetto napoletano.

Questo dialetto, insieme ad altri dialetti meridionali, continuò a evolversi nel corso dei secoli senza una standardizzazione di base, simile all’evoluzione del dialetto fiorentino rispetto alla lingua italiana. L’importanza del napoletano come lingua ufficiale emerse soprattutto dal 1442, quando re Alfonso V d’Aragona lo istituì come lingua letteraria della cancelleria del Regno di Napoli.

L’importanza del napoletano per tutto il Sud

Questa forma letteraria, strutturalmente distante dal vernacolo napoletano, presentava affinità col toscano e latinismi, mantenendo tale funzione fino al 1554, quando il toscano divenne definitivamente predominante come lingua ufficiale e amministrativa dell’Italia preunitaria.

Anche se dal XVIII secolo in poi il napoletano non godette di alcuno status ufficiale a causa della predominanza dell’italiano come lingua ufficiale e amministrativa, il suo prestigio storico-letterario e culturale sopravvisse ben oltre il periodo del Risorgimento e l’unificazione italiana.

La lingua napoletana continuò a influenzare profondamente la cultura e l’identità della regione, mantenendo un ruolo significativo fino ai giorni nostri, nonostante la sua non ufficialità e la diffusione predominante dell’italiano standard come lingua amministrativa.

La letteratura volgare italiana ebbe inizio nel XIII secolo con le opere di poeti del Mezzogiorno, ritenute espressione della “scuola siciliana“. Tra questi, Giacomo da Lentini, Rinaldo d’Aquino, Pier della Vigna, Giacomino Pugliese e Guido delle Colonne spiccano per il loro sublime lirismo e le tematiche simili trattate.

Sebbene siano spesso associati alla Sicilia, sono considerati parte di un terreno artistico italiano che avrebbe dato vita alla vera letteratura italiana. Gli autori siciliani segnarono una svolta poetica rispetto alla tradizione provenzale, abbandonando le tematiche cortesi per affrontare questioni politiche e religiose, influenzando i poeti toscani successivi.

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Questi ultimi, pur copiando i modelli siciliani, poterono ulteriormente sviluppare l’esperienza meridionale grazie alla loro familiarità con la realtà cittadina e comunale.

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Questo arricchimento tematico e spirituale della poesia italiana fu particolarmente evidente nei primi ambienti borghesi. D’altra parte, la poesia meridionale tendeva a cristallizzarsi in stereotipi per la centralità di Napoli.